Walden o Vita nei boschi Henry David Thoreau

Henry David Thoreau si inserisce nel contesto del noto “Rinascimento americano”. Leggere i suoi scritti attualmente è come respirare una boccata d’aria fresca, dare valore a quanto diamo per scontato. 

L’uomo di oggi è solo e fragile, in apparenza libero di essere sé stesso, ma in realtà omologato a uno stereotipo. La civiltà dell’immagine. Pascal asseriva che “lavoriamo per abbellire e a conservare il nostro essere immaginario trascurando quello vero”; ogni parola di Thoreau di contro, muove verso l’essere, in comunione con la natura e per antonomasia con il reale.

“Walden o vita nei boschi” è un resoconto dell’esperienza vissuta dall’autore in volontario isolamento, nei pressi del lago di Walden, situato a Concord.  Scritto come un saggio, pensato quale forte gesto d’amore verso la realtà e la natura. Laureato ad Harvard e oppositore della società nei suoi risvolti più spregevoli, andò nei boschi “perché desiderava affrontare solo i fatti essenziali della vita” spogliato dal superfluo e dalle iniquità e “non scoprire in punto di morte che non era vissuto”. In parole più incisive ha deciso di vivere una vita più profonda e “succhiarne tutto il midollo”. Una riflessione che lo ha condotto a passare due anni della sua esistenza confinato, nel tentativo di “distruggere tutto ciò che non fosse vita” per riscoprire l’essere nei suoi termini più semplici.

Varie descrizioni dell’ambiente naturale, delle faccende quotidiane, degli animali nel bosco e finanche di visitatori reali o immaginari fanno da cornice ad importanti considerazioni, alla luce di ampie conoscenze, tratte da testi scari o dai grandi classici della letteratura europea e americana. 

L’idea che agita l’esperienza sulle rive del lago è “colonizzare sé stessi”; una sorta d’invito rivolto a ciascuno di noi; muoversi “con i piedi ben giù, nel fango e nella mota delle opinioni, dei pregiudizi e delle apparenze” fintantoché non si arriva a “un fondo solido e alla viva roccia, che potremo chiamare realtà”. Nel reale, vivere il frutto del momento presente; esistere riappropriandosi del proprio tempo, svincolarsi dall’essere uno strumento di strumenti, riscoprire l’alfabeto della propria essenza. Il tempo “non è che il ruscello dove io vado a pesca. Vi bevo; ma mentre bevo ne scorgo il fondo sabbioso e vedo come sia poco profondo. La sua corrente sottile scorre via, ma l’eternità resta.”

Sebbene considerato da molti, tra cui Whitman, un autore talvolta contraddittorio, alla domanda: “Cosa c’è di buono in tutto questo, o me, o vita?” in conclusione, la risposta può essere rintracciata anche nelle pagine del testo in parola, attraverso il quale l’autore ha contribuito al potente e incessante spettacolo dell’esistenza.