Premio Torre Crawford 2024, Sezione B, racconto III classificato
È il diciotto dicembre del 1998, siamo nel North Carolina e una nebbia fitta ha avvolto la città di Alliance alle sei di questa mattina.
Non molto lontano dalla città si intravede una casa rossa, al centro di un vasto piano verde, pieno di arbusti e alberi maestosi, che disegnano perfettamente la strada che porta alla casa della piccola Amanda.
Capelli raccolti in un nastrino rosso, abito blu scuro e stivali gialli ai piedi, Amanda sta giocando tra le aiuole, saltando tra le pozzanghere lasciate dalla fitta pioggia della notte passata. Corre tra i cespugli e si nasconde dietro ai folti alberi, poi si ferma e, con lo sguardo rivolto verso l’alto, ammira il piccolo alveare che pende da un ramo, proprio sopra la sua testa.
La nebbia si fa sempre più fitta, il cielo più scuro e una voce squillante chiama il suo nome. Nell’udire la voce della madre, Amanda raccoglie un fiore e incomincia a saltellare verso casa, promettendosi di riuscire una volta finito di mangiare.
Amanda è identica alla madre, viso tondo, naso all’insù ricoperto di lentiggini rosse e una frangetta che le sfiora le ciglia dei suoi occhi color nocciola. È una bambina molto riservata, ma dolce; non ha amici, ma le piace stare a contatto con la natura, un posto sicuro sempre pronto ad accoglierla. Come la volta che litigò con la madre e corse fino all’acero rosso, la cui folta chioma la fa sentire a casa; si sdraiò lì e si lasciò coccolare dalle carezze del vento, che le portò via tutta la rabbia che aveva dentro.
Finito di mangiare corre in camera sua. Si abbassa e allunga una mano sotto il letto, prendendo una scatola di cartone grigio di un vecchio paio di scarpe da ballerina; all’interno ci sono corde, rametti, fiori ormai essiccati e tanti sassi, tantissimi. Amanda è un’accumulatrice seriale di tutto ciò che fa parte della natura: sono ricordi di giornate che ritiene essere le più belle, come quella di oggi, da ricordare grazie al fiore che ha raccolto poco prima di rincasare.
Una volta aggiunto il fiore alla sua collezione, si rimette in piedi, si avvicina alla finestra, scosta la tenda e si mette a osservare il movimento danzante delle chiome degli alberi. Il vento fa lo slalom tra i fini fili d’erba e le nuvole che coprono un cielo grigio e cupo sono pronte a regalare incredibili scenografie di pioggia, creando un’atmosfera teatrale e meravigliosa agli occhi di Amanda.
Così, di nascosto, indossa il suo impermeabile rosa, prende l’ombrello ed esce dalla finestra.
Fa un salto e atterra sull’erba bagnata. Corre e scompare tra i tronchi del bosco dopo aver guardato indietro, sicura che nessuno l’abbia seguita.
Arrivata all’acero rosso, Amanda si distende con il suo telo sotto il piccolo capanno che il padre le ha costruito con le proprie mani. Tira fuori da una cassetta di legno un libriccino marrone, sbiadito nei bordi.
Lo apre e inizia a scrivere.
È il suo diario segreto.
È speciale e molto diverso dai soliti diari.
Amanda scrive sempre lo stesso “desiderio”.
‘Caro diario,
da quando c’è Tommy, la mamma non vuole giocare con me; sta sempre con lui.
Mio papà dice che Tommy è il compagno della mamma e che gli devo portare rispetto, ma lui con me è cattivo, mi stringe i polsi troppo forte, e non mi racconta le storie della buonanotte.
Io vorrei solo che Tommy non ci fosse più.
Lo odio tanto.
Lo odio, lo odio, lo odio.’
Quando Amanda finisce di scrivere, chiude il diario e lo rimette al suo posto. Poi si alza, pronta per tornarsene a casa, prima di imbattersi nella fitta pioggia che stava per colpire la città quella sera.
Amanda apre gli occhi e si sveglia, con il sole che le sfiora la guancia. È passata una settimana dall’ultima volta che è andata all’albero di acero rosso, a causa del tempo, non dei migliori.
Scatta in piedi, esce dalla sua stanza e raggiunge quella della madre, notando però che all’interno c’è solo Tommy.
Allora, a passo spedito, si avvia verso la cucina.
Ma la sua fuga non ha molto successo.
Sono passati ormai anni dal divorzio dei genitori di Amanda. Non andavano più d’accordo e le liti erano all’ordine del giorno.
Lei era piccola e il tribunale aveva deciso di affidarla alla madre, che frequentava già Tommy, proprietario di una casa ritenuta adatta a crescere una bambina.
Ma, se solo Amanda avesse avuto la possibilità di scegliere, avrebbe decisamente scelto di stare con il padre.
Nel tardo pomeriggio la madre torna a casa e appena la vede accenna un lieve sorriso.
Non le presta maggiore attenzione, come sempre. Non nota quei segni evidenti nelle braccia, che una bambina di dieci anni non può procurarsi da sola.
Per fortuna di Amanda, il fine settimana è l’unico momento per stare un pò con il padre, e da lì a poco arriverà per passare quei due giorni assieme.
Ma suo padre non si vede.
Amanda, infuriata, si avvia verso la madre, che le spiega che per quella sera Tommy ha invitato gente a cena e lei dovrà essere presente con loro.
Lei, rassegnata, torna in camera sua e come sempre, senza farsi notare, sgattaiola fuori dalla sua finestra per raggiungere l’albero.
‘Caro diario
oggi papà non è più venuto, e non mi è permesso nemmeno telefonargli.
Vorrei che fosse qui.
È tutta colpa di Tommy
Lo odio tanto.
Lo odio, lo odio, lo odio.’
Tre mesi dopo
‘Caro diario,
oggi la mamma non sta bene e Tommy è con lei che dorme.
Io sto sola in camera e aspetto l’arrivo di papà.
Adoro papà, lui sì che mi vuole bene.
Vorrei che me ne volesse anche la mamma, così come ne vuole a Tommy.
Io vorrei che Tommy sparisse.
Lo odio, lo odio, lo odio.’
Vista la bella giornata, Amanda passa l’intero pomeriggio all’albero, gironzolando tra i cespugli e chinandosi di volta in volta per raccogliere qualche fiore da portare alla mamma.
Forse così è convinta, che la madre possa volerle bene e, magari, darle un abbraccio, cosa che non fa da tanto.
Passano mesi e finalmente arriva l’estate, stagione perfetta per godersi a pieno la natura che circonda la piccola Amanda.
Lei è felice, il padre le ha promesso di costruirle una casa sull’albero, stavolta con i giusti materiali per rendere il suo piccolo spazio preferito più confortevole.
Amanda è entusiasta, dopo due settimane la casetta è pronta e non vede l’ora di mostrarla alla madre.
Corre in casa, si toglie le scarpe che ricadono sul parquet lucente, salta sulla moquette del salone e si posiziona davanti alla madre coricata sul divano.
Con un sorriso falso, la madre le dice che è troppo stanca per andare fino all’acero rosso e che deve aiutare Tommy a prepararsi per una riunione di lavoro. Ancora una volta, non ha tempo da dedicarle . Amanda, triste, torna in camera, pronta per sgattaiolare di nuovo fuori.
Ma qualcos’altro le passa per la mente.
Va in camera, si china sotto il letto, prende la scatola grigia ed estrae tutti i suoi sassi.
La macchina di Tommy è parcheggiata nel vialetto e lui è troppo impegnato a prepararsi per accorgersi della presenza della bambina.
Lei prende un bel respiro e poi lancia.
Il primo, poi il secondo, e così via, fin quando non scatta l’allarme e lei soddisfatta scappa all’albero.
Caro diario,
oggi l’ho fatta grossa.
Ma se io non posso andare da mio padre, neanche Tommy avrà dove andare.
Otto anni dopo
Amanda si sente sempre più sola, estraniata dal mondo.
Sempre nascosta tra gli alberi del monte, troppo lontana dalla città, e anche dagli occhi della madre.
Ma adesso Amanda è stanca.
È passato tanto tempo ormai da quando era piccola e innocua, da quando Tommy le ha iniziato a far solo ombra.
Adesso, a diciotto anni, Amanda vuole porre fine a questa storia.
Vuole farla pagare a chi l’ha messa al mondo e subito dopo abbandonata, a chi per tutto questo tempo l’ha fatta soffrire.
Per porre fine a tutto questo ha in mente solo una soluzione.
Tommy deve sparire.
Funi, corde e sacchi neri, prepara tutto quel che le serve. Durante il giorno si è comportata come se nulla fosse, senza destare sospetti, pensando solo ciò che dovrà fare quella notte.
Quattro del mattino, pioggia fitta, Amanda esce dalla sua camera, attraversa il corridoio lungo e buio.
Scalza, raggiunge la camera della madre e qualche trave scricchiola.
Abbassa la maniglia ed entra.
Nel vedere la madre dormire, Amanda ha via libera per scendere in cucina dove è rimasto a dormire Tommy.
Suda freddo e trema.
Sta tremando tanto.
Chiude gli occhi, per non assistere a quello che sta per fare.
Ma poi cede, raccoglie tutto e si riavvia verso la sua camera.
Due anni dopo
«…TOMMY!!!»
Sento mia madre urlare.
Corro, per quanto io riesca a farlo, pur essendo ancora attaccata alla flebo.
I segni sulle braccia sono ancora evidenti.
Dopo l’ultima lesione che mi sono provocata e che mi ha mandato in shock, sono stata ricoverata per quattro mesi e adesso mi ritrovo costretta a dover stare chiusa in casa per altri due.
Apro la porta della camera da letto di mia madre.
Tommy è disteso nel letto, circondato da un’enorme pozza di sangue, e mia madre di fianco, sconvolta, urla il suo nome.
Nel tardo pomeriggio arriva mio padre, che dopo la notizia ha deciso di venire a stare con me.
Sono passati tre giorni dalla morte di Tommy e oggi è il giorno del suo funerale.
Siamo tutti in chiesa e la testa mi gira così forte che penso di poter svenire da un momento all’altro.
Ma non succede.
Al rinfresco vengono tutti, amici di Tommy, parenti stretti e lontani, e anche mio padre.
Mi sono messa in un angolino, intenta a capire come possa essere successo, ma una mano aperta in direzione del cuore, tre colpi nel petto, bastano per farmi capire quello che ha fatto mio padre.
Per me.
La sua principessa.
È tra gli abbracci e gli sguardi tristi della gente che mio padre scompare.
E io, ferma, lo guardo andarsene.