Esiste un concetto che esprime una partecipazione emotiva riguardo la bellezza della natura, della vita umana e il trasporto nostalgico legato all’incessante mutamento e alla consapevolezza della sua caducità.

Leggere le pagine di Yukio Mishima significa per certi versi, essere participi del Mono no aware.

L’ambientazione di “Neve di primavera” è il Giappone dei primi del novecento, riferimenti alla cultura, al pensiero e continui richiami di tipicità, ci immergono in un contesto orientale e ci regalano pagine di autentica bellezza, nel seguire una storia d’amore e d’amicizia che ruota intorno a tre personaggi principali.

La società nipponica sospesa tra tradizione e cambiamento, la ferrea educazione emblematica rappresentazione delle nobili famiglie dei samurai, minacciata dall’apertura all’Occidente, all’ apice del rinnovamento Meiji che segnò il ritorno al potere dell’imperatore e una forte modernizzazione.

L’attitudine mentale che soffoca chi vive di idealismo e di emozioni personificate in Kiyoaki Matsugae, un giovane rampollo di una casata nobiliare di antichi samurai, animato da una passione infuocata come le rosse vallate degli aceri, descritto con una splendida metafora «simile a un lago le cui acque limpidissime lasciassero scorgere nitidamente i ciottoli del fondale, per offuscarsi un istante dopo, agitate da un sommovimento inaspettato». Un altro giovane di stirpe aristocratica, rappresenta l’antitesi dell’amico; in quanto razionale e pragmatico, Honda Shigekuni lo consiglia e lo supporta. L’amore di Kiyoaki per Satoko Ayakura sarebbe contraccambiato dalla bella e intraprendente ragazza, se solo ci fosse il coraggio di tentare e lasciarsi trasportare, svincolato da precetti. Il primo avvicinamento, il primo bacio, la neve che cade. In questo libro la storia, l’amore, l’amicizia sbocciano come bellissimi fiori di ciliegio, destinati a mutare a perire alla prima folata di vento, voltando pagina. Mishima accompagna il lettore nell’atmosfera del Sol Levante.

Un testo intriso di metafore poetiche, che arricchiscono il testo ed è come se le pagine fossero «nuvole statiche, ma basta distogliere lo sguardo che il loro aspetto muta in maniera radicale… Se le fissava con aria trasognata, si immobilizzavano nel loro disordine». Sensazioni, colori e pensieri che ci sembrano a tratti così distanti, ma che raccontano il caratteristico dissidio giapponese tra modernità e tradizione nella consapevolezza della brevità della vita. Nella lettura ho ricordato un antico verso che lessi tempo fa “hana wa sakuragi, hito wa bushi” che tradotto significa “il migliore dei fiori è il ciliegio, il migliore degli uomini è il guerriero”, mi sono tornati in mente i ryokan e i futon nei quali ho sognato.