Se tu fossi un abitante di Lapvona, saresti un cafone che sopravvive per autosussistenza, vestito di stracci. La tua vita è nascere, soffrire, pagare al Signore tuo padrone e aver paura di un Dio tuo pastore. Alzeresti la testa dal tuo campo arido, vedresti il castello di Villain, il nobile “villano” che foraggi. Non ha nessuna qualità, è circondato da servitori che lo disprezzano, un prete con nessuna nozione della dottrina, con cui va a fare il bagno di notte nel lago intorno al castello. Nello scenario bidimensionale, un pastore di nome Jude convive con Marek suo figlio adottivo e i suoi agnelli. Egli è frutto di un incesto tra suo zio e Marta, una ragazzina che scappò con la mezza lingua rimasta rifugiandosi da Jude. Il bucolico patrigno ha un debole per le ragazzine e l’accolse. Lei non voleva partorire Marek, provò ad abortire. Uscì un bimbo storpio, con i capelli rossi della mamma e una gobba degna di Quasimodo. Marta scappò, suo figlio la credette morta. Venne allattato da Ina, una donna senza età che ha fatto da balia a tutti i bimbi del villaggio, da cui ancora vanno da adulti per essere coccolati dai suoi seni cadenti. Una strega, una puttana, una santa. Marek provocherà la morte del figlio di Villain, il quale accetterà lui stesso come figlio, in uno scambio alla pari con Jude. La storia si sdipana nella ciclicità di un anno da primavera a primavera. La successione di vicende è senza carico emotivo. Ecco lo uccide, ecco è morto, tutto come da copione. Nell’estensione verticale non c’è trascendenza né redenzione. Si vedono le immagini di un film neorealista, horror, fiabesco. Non ci sono eroi, né lupi da sgozzare. Gli occhi azzurri e i capelli biondi ce li hanno solo i popoli confinanti, ottimi servitori senza le ambizioni del trono dei Targaryen. Da primavera a primavera niente rinascerà, solo un bimbo atteso come nuovo Messia. Il Salvatore potrà portare tutte le cose come nel passato. Forse era scritto nella Bibbia…nemmeno lì. Un libro ideale da leggere nella Settimana Santa.
