Il 24 maggio 2010 all’Università Statale di Milano si presentavano a tenere una lezione due strani docenti con indosso improbabili T-shirt. Li vedete nella foto. Quello a destra sono io, architetto mancato e ingegnere mancatissimo. L’altro, sulla sinistra, è Stefano Di Marino, quantomeno munito di una laurea in giurisprudenza. Ma entrambi avevamo seguito, contrariamente al volere delle rispettive famiglie, la nostra vera vocazione.
La narrativa pulp.
La definizione non ha niente a che vedere con quella applicata in Italia ad autori diversissimi e spesso sperimentali (come Alda Teodorani e Andrea G. Pinketts) che traevano linfa vitale dalla letteratura di genere per condurla in altre direzioni; né con il film Pulp Fiction di Tarantino, che in fondo aveva fatto la stessa cosa. Mi riferisco proprio alle riviste su carta economica (la polpa di legno, da cui il termine pulp) negli USA dei primi decenni del XX secolo, con racconti che andavano dal noir al fantastico, dal western alle storie sexy. Azione, emozione. Storie.
Fuga dalla Grande Depressione.
Il pulp tenne a battesimo grandi scrittori, poi riconosciuti come veri maestri. Erede del feuilleton, a sua volta influenzò – e influenza ancora oggi – fumetti, radio, cinema, tv e naturalmente, altra narrativa. Anche a livello linguistico: lo stile asciutto, pragmatico di Hammett (per nominare solo uno degli autori piu grandi, quello de Il Falcone Maltese e L’Uomo Ombra) sarebbe trasmigrato pure in uno scrittore non pulp come Hemingway.
Stefano Di Marino aveva studiato, rivissuto viaggiando per il mondo e infine reinterpretato il pulp, riuscendo ad affrontare tutti i generi, persino il rosa con venature di giallo, il fantasy orientale o il western, che oggi richiede una preparazione storica e persino etnologica molto complessa. Era stato uno dei primi autori del noir italiano degli anni Novanta. Ma, cresciuto tra Europa e Asia negli anni della Guerra Fredda in cui la narrativa di spionaggio coniugava epica e attualità, ben presto è divenuto il massimo interprete della spy-story made in Italy, pur miscelandola di volta in volta con mille altri elementi: azione spettacolare, noir all’italiana, arti marziali, western contemporaneo.
Nel 1995 creò dunque la serie Il Professionista, pubblicata in edicola da Segretissimo Mondadori (la collana di spionaggio nata nel 1960 da una costola de Il Giallo Mondadori, che nel 2020 ha superato i sessant’anni di pubblicazioni ininterrotte), anche se dovette firmarla con uno pseudonimo straniero, Stephen Gunn. Perché il nostro pubblico non si sarebbe mai aspettato quel tipo di storie folgoranti da un italiano. Lo pseudonimo è rimasto nel tempo, pure dopo ventisei anni di successo e centocinque episodi finora pubblicati, perché ormai era un marchio di fabbrica. Nondimeno altre sue serie nella stessa collana e molti suoi romanzi o saggi per diversi editori sono stati pubblicati con il vero nome.
Stefano Di Marino, oltre che autore di bestseller, è stato un divulgatore della narrativa popolare e delle tecniche di scrittura creativa. Saggi a parte, persino i post su Facebook in cui recensiva romanzi, fumetti e film erano illuminanti. Quando una parte del lavoro del Premio Torre Crawford si è orientata proprio sullo studio della narrativa di genere, è stato immediato coinvolgerlo. Per cominciare, con uno degli incontri di Autori in diretta. Così la sera del 14 maggio 2021, come quel giorno in università e tantissime volte a presentazioni di libri suoi, miei o altrui, i due strani docenti pulp, intervistati da Alfredo Martinelli, hanno parlato di letteratura popolare e cinema con il loro consueto approccio divertito.
Lui e io avevamo in programma di riprendere a fare questo tipo di incontri dall’autunno e di creare uno scuola di scrittura che riprendesse il lavoro di scouting del nostro comune amico Andrea G. Pinketts. Speravo di poterlo invitare al Festival in un prossimo futuro, per portare gli… strani docenti di nuovo in scena a San Nicola Arcella. Ma, come avrete notato, di Stefano Di Marino sto scrivendo al passato. A volte le storie pulp si concludono con la morte dell’eroe. E questa purtroppo è una di esse.
Andrea Carlo Cappi