mia vita cara di Antonia Pozzi

“Tristezza di queste mie mani / troppo pesanti / per non aprire piaghe, / troppo leggère / per lasciare un’impronta”. Non di mani o di carne, ma di parole concrete è l’impronta lasciata per la nostra anima da Antonia Pozzi. Parole che si mescolano lontane, sofferte, testimoni di una vita breve che ha sedotto il proprio destino, misurandosi col peso della malinconia. Non di tristezza o abbandono, ma di coraggio è la scelta compiuta da Antonia Pozzi quando tenta di concedersi ritagli di armonia, inondando la natura dello splendore della sua inerme emotività.
“[…]Avrei voluto / scattare, in uno slancio, a quella luce; / e sdraiarmi nel sole, e denudarmi, / perché il morente dio s’abbeverasse / del mio sangue. Poi restare, a notte, / stesa nel prato, con le vene vuote: / le stelle-a lapidare imbestialite / la mia carne disseccata, morta.” Il “canto selvaggio” di chi è rimasto in silenzio “in riva alla vita”, nell’oscurità di una luna dimenticata, nell’ombra di un tempo rassegnato, bramando d’esistere malgrado il proprio fato.