La paga del sabato è una delle prime opere dello scrittore piemontese Beppe Fenoglio, ma sarà pubblicata postuma.

Ettore, il protagonista, è un ragazzo di 22 anni che ha combattuto come partigiano. La guerra è ormai terminata, ma non nella sua testa. Il giovane fatica a tornare ad una realtà diversa dalla sua immaginazione, dal suo ideale. Disadattato, scostante nei rapporti interpersonali. Incarna una serie di retaggi del tempo dai quali tuttavia cerca di fuggire. Ha un rapporto difficile con i genitori che non riescono a comprendere pienamente il suo malessere.

Un pensiero costante lo assilla ”Io non mi trovo in questa vita” è in realtà un urlo di disperazione, una richiesta d’aiuto. Il rifiuto categorico a un lavoro normale, alla vita piatta di ”uomini che si chiudevano fra quattro mura per le otto migliori ore del giorno, tutti i giorni (…)”. Il fine ultimo della moltitudine “un mucchietto di soldi assicurati per la fine del mese, e un pizzico di cenere di quella che era stata la giornata”. Non si presenta alla prima giornata di lavoro, decide di mettersi in affari loschi per dimostrare a sé stesso di non essere come tutti gli altri sotto padrone.

Vuole provare la sua libertà anche a Vanda, un amore nato da rapporti fugaci, ma che assume contorni di certezza appena viene a conoscenza della gravidanza. Cerca delle conferme, di sistemare alcune cose, di dargli un senso. Alla fine, lo affascina un’altra idea, quella di un futuro tranquillo, in un brillante distributore di benzina. Con una famiglia, contro i pregiudizi.

Fenoglio con una scrittura incisiva, riesce in poco più di cento pagine a comporre una vita segnata dal disagio di accettare la sterilità del mondo reale rispetto ai sogni e alle speranze.  

Dove finisce l’ideale inizia il tormento, vivere senza una ragione, se non di apparenza. La morte giunge come una liberazione dalla condanna di questa futile esistenza.

Noialtri abbiamo ancora tempo per colorare le “quattro mura” della nostra esistenza.