Malavacata, terra dimenticata e sfondo malinconico di un romanzo corale che profuma di miseria. Un luogo dove il tempo non si misura più in minuti ma si rivela attraverso l’avvicendarsi delle anime che ne popolano le viscere. Fianchi che ondeggiano e mani callose, occhi ruvidi e “corpi madidi di sudore sotto una coltre di panni straccioni”, si muovono intorno ad un solo fulcro, lo studio del medico condotto Giustino. Uno spirito incoerente, incline alle tentazioni, raro come il situs inversus che condiziona persino il suo agire. In un equilibrio tanto precario, come se “il dolore fosse equamente distribuito e che in ogni angolo si annidasse un tormento, un ostacolo, una tragedia”, si palesano in scena i tumulti e i languori di una intera comunità, di un solo paese che dovrà fare i conti con la storia. La virilità infatti cederà il passo alla crudeltà della guerra, a livellare ogni ardore. La scena svuotata si riempirà del fragore di chi resta, di chi ritrova nella propria essenza il coraggio di creare il solo mondo possibile.