In una delle tante e vecchie fattorie trasformate in comode ville di un piccolo paese francese al confine con la Svizzera, Jean-Claude viveva insieme alla moglie Florence e ai suoi due figli, Antoine e Caroline, di cinque e sette anni, iscritti alla scuola privata posta all’ombra del castello di Voltaire. Era per tutti uno stimato medico e un luminare nel campo della ricerca, che lavorava presso l’OMS, andava in ufficio sulla sua BMW e, soprattutto, era un Romand e un “Romand ha una parola sola, un Romand è limpido e cristallino come acqua di fonte.”

Nessun sospetto si insinua nelle tranquille cene con gli amici e niente fa presagire il massacro che avrebbe compiuto il 9 gennaio del 1993. È ancora notte quando Jean-Claude uccide la moglie fracassandole il cranio. Al mattino  guarda con i bambini “I tre porcellini” sgranocchiando Coco Pops. Poi, li uccide a colpi di fucile. Esce di casa per pranzare con i cari genitori ma prima di andar via uccide anche loro e l’amato cane. Può ora raggiungere l’amante Corinne a cui è riservata la stessa sorte ma, di fronte al suo sguardo, un moto di compassione lo fa desistere. Torna a casa, appicca un incendio e ingerisce un flacone di Nembutal scaduto. All’arrivo dei soccorsi perderà i sensi ma sopravvivrà.

In un Paese scosso da un gesto così disumano, Emmanuel Carrèr, spinto dal desiderio di comprendere che cosa “passava nella testa e nel cuore di quell’uomo”, lo invita ad intrattenere una corrispondenza e lo fa rivolgendosi a lui non come a qualcuno che “ha fatto qualcosa di agghiacciante” ma come a una vittima sventurata di una forza demoniaca, l’Avversario. Carrèr assiste al processo giudiziario e, seppur con un approccio discutibile, ricostruisce la vera storia di Jean-Cluade Romand. Non è mai stato medico, non ha mai lavorato all’OMS, non è mai partito per congressi internazionali e, per venti anni, ha mentito millantando una vita non sua e dilapidando gli averi di devoti amici e parenti. Un ingranaggio di bugie innescato da un semplice esame universitario andato male. Una bugia chiama l’altra ma, nonostante l’angoscia di essere smascherato, la certezza di deludere ancora è più forte del desiderio di confessare tutto. Il suicidio però, senza poter assistere alle reazioni, sarebbe poco soddisfacente. Eliminare il problema, la sua famiglia, è la scelta migliore.

L’immagine della casa bruciata e dei sacchi grigi con i corpi dei bambini è ciò che resta nella memoria di tutti, ma non nella sua, un sopravvissuto finalmente libero. “…la mia vita non è mai stata così bella. Sono un assassino. La mia immagine agli occhi della società è la peggiore che possa esistere ma è più facile da sopportare che i miei vent’anni di menzogne.” Questa, dunque, deve essere la storia di una creatura mostruosa, perché difficile è credere che tutto ciò sia reale! Ma d’altronde, la realtà supera sempre la fantasia.