Mrs. Hugh Fraser (Mary Crawford), come fu che F. Marion Crawford affittò la Torre di San Nicola

Uno dei tanti effetti, positivi, dell’aver partecipato al Premio Torre Crawford (da ora, PTC) nella prima edizione del 2020 e in quella successiva del 2021 – accanto all’onore e alla gioia di vedere piazzati i miei racconti, rispettivamente, “L’occasione” al 3° posto e, l’anno dopo, “Rebecca, la terza moglie” al 1° posto, con in più il riconoscimento del Premio Speciale “E io lo dico a Pinketts” – è stata la grande curiosità in me suscitata dalla figura dello scrittore cui è intitolato il Premio.
Ho già confessato pubblicamente che, prima della mia partecipazione al PTC, sapevo solo che un tale Crawford fosse stato l’autore di novelle gotiche, al pari di altri scrittori anglosassoni a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, ma nulla di più: non avevo letto nessuna delle sue opere, né tantomeno – e questo se si vuole è ancor più “grave” – ero a conoscenza del fatto che la torre di avvistamento di epoca angioina di San Nicola Arcella portasse il suo nome, nonostante il fatto che la stessa si staglia, dall’altro lato di una non grandissima baia, esattamente di fronte alla spiaggia di Fiuzzi, località di Praia a mare dove da decenni vado a fare il bagno in estate. Quando si dice avere le cose sotto il naso e non vederle…

F.M. Crawford e le sue sorelle

Per farla breve, insomma, è forse per una sorta di debito di riconoscenza verso Marion – come lo chiamavano in famiglia – o ancora per la gentilezza e meticolosità degli organizzatori del Premio oppure per la grande professionalità di Andrea Carlo Cappi – il quale ha curato le nuove traduzioni delle due novelle inserite nelle antologie che raccolgono i racconti finalisti (rispettivamente, Perché il sangue è vita e La donna dell’acqua) –, che ho cominciato ad informarmi meglio sulla vita e sulle opere dello scrittore americano nato e vissuto per molto tempo della sua vita in Italia. Un interesse che mi ha anche portato a setacciare le piattaforme online di vendita di libri per acquistare le opere originali di F.M. Crawford, con relativo disappunto di mia moglie, ma solo perché lo spazio disponibile nella nostra casa di Milano, si riduce sempre di più all’osso, come ben possono capire tutti gli amanti e accumulatori dei libri di carta.
Ebbene, questo interesse si è esteso anche alla straordinaria famiglia di F.M. Crawford, così ricca di personaggi davvero fuori dal comune, a cominciare dalle sue due sorelle, Anne Crawford (1846-1912), poi divenuta baronessa von Rabe, e Mary Crawford (1851-1922): entrambe scrittrici, la seconda fu molto più prolifica della prima, dato che di Anne si conosce un solo racconto di vampiri, anche se sembra sia stato il primo in assoluto scritto da una donna in cui compaia una vampira (si tratta di A Mystery of the Campagna del 1891, scritto con lo pseudonimo di “Von Degen”).
Ma delle due sorelle Crawford tornerò a parlare in modo più approfondito in un futuro contributo: l’interesse per l’intera famiglia è tale che non sarebbe male dedicare a tutti costoro un libro o un romanzo.

Mary Crawford: la signora Hugh Fraser

Per adesso voglio soffermarmi su di un brano tratto da uno dei libri di memorie di Mary Crawford, meglio nota come la signora Hugh Fraser, “Mrs. Hugh Fraser”, dal nome del marito, per l’appunto Hugh Fraser (1837-1894), diplomatico, capo della legazione britannica in Giappone. Mary era una scrittrice che divenne nota per i suoi romanzi storici e per le sue memorie ricche di incontri con personaggi che hanno fatto la storia e resoconti di viaggi in luoghi lontani, per quel tempo, esotici (in particolare, infatti, molti la ricordano ancora oggi per gli scritti che riguardanoil Giappone).
Tra i luoghi vissuti e visitati in lungo e in largo non manca la nostra Italia, dove Mary era nata, a Roma, nel 1851, dallo scultore americano Thomas Crawford (1813–1857) e Louisa Ward (1823–1897), sorella di Julia Ward Howe, poetessa statunitense, autrice dell’inno “The Battle Hymn of the Republic” e accesa attivista impegnata sui temi dell’uguaglianza delle donne e delle riforme del sistema penitenziario.

Il richiamo delle solitudini fortificate: la “fortezza della solitudine” di F.M. Crawford

Orbene, in uno dei suoi libri di memorie, Italian Yesterdays (vol. 1, 1913), Mary Crawford Fraser ci parla del rapporto dei Crawford con i luoghi solitari, ottimi quali rifugio per riflettere. Uno di questi fu, per l’appunto, per Francis Marion Crawford, la Torre angioina di San Nicola Arcella (lei scrive San Niccola), oggi nota con il nome di Torre Crawford: lo scrittore non riusciva a resistere al richiamo delle solitudini fortificate, “call of fortressed solitudes” è l’espressione usata dalla sorella Mary, che a me ha fatto venire in mente la “fortezza della solitudine” dei fumetti di Superman, quella “Fortress of Solitude” originariamente collocata al Polo Nord dove Kal-el si reca per essere se stesso, per avere un suo spazio, abbandonate le vesti dell’identità umana di Clark Kent. L’antica Torre era di certo un posto scomodo, ma che, una volta risistemato, lo scrittore trovava bello, un “quiet place for writing in, at any rate”, un posto dove riposarsi dalla vita moderna (“to rest from everything connected with modern life”). Lasciamo che a parlarne sia la stessa Mary Crawford e di come fu che Marion prese in affitto la Torre di San Nicola, rinviando a più approfonditi studi biografici su F.M. Crawford per ulteriori dettagli.

“The story of how he became the master of San Niccola in Calabria…”

PS: la traduzione dall’inglese è mia, chiedo sin d’ora scusa laddove ci possano essere tradimenti nello stile (che pure ho cercato di rispettare) o eventuali errori, d’altronde anni fa, facevo un altro mestiere, l’avvocato, anche se questo forse non mi attirerà maggiore indulgenza.

Brano tratto da: Mrs. Hugh Fraser, Italian Yesterdays, Cap. IV “Roman Yesterdays”, vol. 1, 1913

Often I have longed to withdraw for a time to one of those lonely watch-towers to “think things out.” We Crawfords have never been able to see a really solitary spot without wanting it for our own. A certain empty tomb lost among the Umbrian hills, with the sun turning the red rock to gold and the wild camomile swaying its yellow blossoms in the breeze over the doorway, has been a haven of my spirit through many a breathless, over-peopled hour. I could fly there in mind, for days at a time, into an atmosphere of such still liberty as is only granted to disembodied souls. My dear brother Marion could never resist the call of fortressed solitudes.
The story of how he became the master of San Niccola in Calabria is too characteristic not to be told in this connection. San Niccola is an Angevin castle, with walls twenty feet thick in places, perched on the rocks over an inhospitable little bay on the coast of Calabria, a bay too small and shallow to permit of sailing vessels being anchored inside its natural breakwater of tumbled stones. Marion often sailed thither, and, leaving the yacht outside, would scramble on shore and linger for hours in the shade of the huge pile, weaving new stories and calling up pictures of the days when the cry would ring along the coast that a Saracen sail was in sight, and the inhabitants, snatching up whatever they could carry, raced for the nearest tower of refuge.
San Niccola looks like a huge dark monolith, wide at the base and tapering slightly towards its truncated summit. It contained but two apartments, a vast square space, without windows, for animals below, and one great hall, as sparsely windowed as possible, above. In this it resembles most of its fellows along the coast, where “Carlo d’Angiò,” still almost a living personality to the people, planted them, at short distances from one another, for this very purpose

Spesso ho desiderato ardentemente di ritirarmi per un po’ in una di quelle torri di avvistamento solitarie per riflettere [NdT: in originale, “think things out”, letteralmente «pensare alle cose»]. Noi Crawford non siamo mai stati in grado di vedere un luogo davvero solitario senza volerlo tutto per noi. Una certa tomba vuota perduta tra le colline umbre, con il sole che trasforma in oro la roccia rossa e la camomilla selvatica che fa ondeggiare i suoi boccioli gialli nella brezza sopra la porta, è stata un rifugio del mio spirito per molte ore senza fiato e sovraffollata. Potrei volare lì con la mente, per giorni, in un’atmosfera di tale immobile libertà che è concessa solo alle anime disincarnate. Il mio caro fratello Marion non ha mai potuto resistere al richiamo delle solitudini fortificate.
La storia di come divenne maestro di San Nicola in Calabria [in originale: «the master of San Niccola in Calabria»] è troppo caratteristica per non essere raccontata a questo riguardo. San Nicola è un castello angioino, con mura spesse in alcuni punti venti piedi, arroccato sugli scogli sopra una piccola baia inospitale della costa della Calabria, una baia troppo piccola e poco profonda per permettere ai velieri di essere ancorati dentro il suo frangiflutti naturale fatto di massi crollati. Marion spesso navigava laggiù e, lasciando fuori lo yacht, si arrampicava sulla riva e indugiava per ore all’ombra dell’enorme cumulo, intrecciando nuove storie e richiamando immagini dei giorni in cui risuonava lungo la costa il grido che una vela saracena era in vista, e gli abitanti, afferrando tutto ciò che potevano trasportare, correvano verso la più vicina torre di rifugio. San Nicola si presenta come un enorme monolite scuro, largo alla base e leggermente affusolato verso la sua troncata sommità. Conteneva solo due appartamenti, un vasto spazio quadrato, senza finestre, per gli animali in basso, e una grande sala, scarsamente provvista di finestre, in alto. In questo assomiglia alla maggior parte dei suoi simili lungo la costa, dove “Carlo d’Angiò”, una personalità ancora quasi viva per la gente, li piantò, a breve distanza l’uno dall’altro, proprio per questo scopo.


It was a roasting hot day in August; the felucca (this was before my brother bought the Alda) was swinging at anchor in deep water, and the “padroni,” Marion and my sister-in-law, were sitting on the rocks in the shade, after lunch—the hour when most people go to sleep, but always a particularly inspiring one to him and responsible for many of his quaint whims. Suddenly he jumped up and announced that he needed a walk—he would go to the town—a tiny hamlet some miles distant—and buy—I forget what—fresh eggs for the morrow’s breakfast, I think. Would Bessie like to come?

Bessie, dozing over a novel under the shelter of a huge pink parasol, scarcely thought it necessary to reply audibly to such a crazy proposition, but as Marion turned and walked away she signalled to the faithful Luigi to follow and look after him, which Luigi—with what groans one can imagine, just after the midday macaroni and in that blazing heat—obediently did.

The day wore on, the sun began to sink, and the evening breeze ruffled the water. The parasol had long been closed, the novel thrown aside, and Bessie was beginning to look anxiously landward, when the truants reappeared in the distance. As they drew nearer she could see that Marion carried in his hand a huge iron key, while Luigi, directly behind him, was flinging his arms up in the air in gestures of despair. As they came close, the gestures became those of beseeching deprecation, and she realised that he was trying to say, unbeknown to the “padrone,” “It was not my fault, Signora mia, oh indeed, not my fault!” while Marion, a little in doubt as to his reception, stopped before her and held up the great rusty key, saying, “It’s mine, mine, my dear, for the next thirty years!”

“What—this awful place? Oh, why did I let you go away without me?” she wailed. “What on earth are you going to do with it?—and what have you paid for it?”

He mentioned the sum—not a very large one, it is true—but Luigi, hovering near, pale and scared, whispered, with every appearance of sincere grief: “He could have had it for the hundredth part of that, Signora! Alas, for the good money! But it was not my fault—there was no holding the Signore, and those assassins at the Municipio took advantage of him!”

To tell the truth, it was not the money side of the matter which distressed my sister-in-law so much as the prospect of being required to come and pass weeks at a time in this grim dungeon, without a single convenience of life, twelve miles from a market town, and of course lashed to the battlements by every Mediterranean storm. It took her some days to reconcile herself to the new acquisition—poor girl—but Marion had not made a mistake, after all. The family was not invited to San Niccola till he had made several journeys thither himself, with carpenters and materials, and when they did come they found that the lonely keep had been transformed internally to a quite possible dwelling—though certainly an inconveniently isolated one. Generally, however, he went there alone, to rest from everything connected with modern life, and he found it a fine, quiet place for writing in, at any rate.

I fancy that people who take such keen delight as we do in sympathetic and cheery society are probably the ones who most enjoy—and need—the relaxation of seclusion and quiet. I remember a curious nook that my sister and I discovered in Rome itself; we never told any one about it, and used to go there day after day to think the “long, long thoughts” of youth and make wonderful plans for the two or three hundred years we must have expected to live if they were all to be carried out!

Era una calda giornata di agosto; la feluca (questo era prima che mio fratello comprasse l’Alda) dondolava all’ancora in acque profonde, e i padroni, Marion e mia cognata, stavano seduti sugli scogli all’ombra, dopo pranzo, l’ora in cui la maggior parte delle persone va a dormire, ma è sempre particolarmente stimolante per lui e responsabile di molti dei suoi capricci pittoreschi. Improvvisamente si alzò di scatto e annunciò che aveva bisogno di fare una passeggiata – sarebbe andato in città – un minuscolo paesino distante qualche miglio – e avrebbe comprato – non ricordo cosa – uova fresche per la colazione dell’indomani, credo. Bessie vorrebbe venire?

Bessie, sonnecchiando davanti a un romanzo al riparo di un enorme parasole rosa, non ritenne quasi necessario rispondere in modo udibile a
una proposta così folle, ma mentre Marion si voltava e si allontanava fece segno al fedele Luigi di seguirlo e prendersi cura di lui, cosa che Luigi – con quali gemiti si può immaginare, subito dopo i maccheroni di mezzogiorno e in quel caldo ardente – con obbedienza fece.

La giornata trascorreva, il sole cominciò a tramontare e la brezza serale scompigliava l’acqua. L’ombrellone era stato chiuso da tempo, il romanzo gettato da parte, e Bessie stava cominciando a guardare ansiosamente verso terra, quando i vagabondi ricomparvero in lontananza. Avvicinandosi vide che Marion teneva in mano un’enorme chiave di ferro, mentre Luigi, proprio dietro di lui, alzava le braccia in aria in gesti di disperazione. Man mano che si avvicinavano, i gesti divennero quelli di implorante deprecazione, e lei si accorse che stava cercando di dire, all’insaputa del “padrone” [NdT: in italiano, nell’originale], «Non è stata colpa mia, Signora mia [NdT: in italiano, nell’originale], oh anzi, non è colpa mia!» mentre Marion, un po’ dubbioso su come sarebbe stato accolto, si fermò davanti a lei e tenne in alto la grande chiave arrugginita, dicendo: «È mia, mia, mia cara, per i prossimi trent’anni!»

«Cosa… questo posto orribile? Oh, perché ti ho lasciato andare via senza di me?» si lamentò. «Cosa diavolo hai intenzione di farne? E quanto hai pagato per questo?»

Lui menzionò la somma – non molto grande, è vero – ma Luigi, svolazzando vicino, pallido e impaurito, sussurrò, con ogni apparenza di sincero dolore: «Poteva averla per la centesima parte, Signora! Ahimè, per un buon prezzo! Ma non è stata colpa mia, non è stato possibile trattenere il Signore, e quegli assassini del Municipio si sono approfittati di lui!»

A dire il vero, non era il lato economico della faccenda ad angosciare mia cognata quanto la prospettiva di dover passare settimane in questa tetra prigione, senza una sola comodità di vita, dodici miglia da un mercato cittadino, e naturalmente sferzata ai bastioni da ogni tempesta mediterranea. Le ci vollero alcuni giorni per riconciliarsi per il nuovo acquisto – povera ragazza – ma Marion non aveva commesso un errore, dopotutto. La famiglia non fu invitata a San Nicola prima che egli stesso vi avesse fatto parecchi viaggi, con falegnami e materiali, e quando vennero, trovarono che il solitario mastio era stato trasformato internamente in una dimora abbastanza possibile, sebbene di certo scomodamente isolata. In genere, comunque, vi si recava da solo, per riposarsi da tutto ciò che riguardava la vita moderna, e lo trovava comunque un posto bello e tranquillo dove scrivere.

Immagino che le persone che provano un piacere così vivo come noi in una società comprensiva e allegra siano probabilmente quelle a cui piace di più – e hanno bisogno – il rilassamento della solitudine e della tranquillità. Ricordo un angolo curioso che io e mia sorella abbiamo scoperto nella stessa Roma; non ne parlavamo a nessuno, e ci andavamo giorno dopo giorno a pensare ai “lunghi, lunghi pensieri” della giovinezza e fare progetti meravigliosi per i due o trecento anni che dovevamo aspettarci di vivere se fossero stati tutti realizzati!