copertina ragazzi di vita Pier Paolo Pasolini

Roma Caput mundi” diceva Lucano nella sua Pharsalia. Da sempre decantata da poeti, scrittori e cantanti per la sua bellezza, si fa presto a pensare alla Roma storica e romantica de “La Dolce vita” di Fellini, meno a quella delle borgate, degli emarginati e dei dimenticati, sconosciuta ai più, raccontata da Pier Paolo Pasolini in “Ragazzi di vita”. Spogliandosi delle vesti di borghese e intellettuale, seppur a tratti percepibili tra le righe, Pasolini “testimonia” una vita di povertà e degrado. Lo fa da narratore esterno, che non interferisce, e lo fa attraverso le esperienze di un gruppo di ragazzi che, esprimendosi in dialetto romanesco, riportano il lettore alla realtà dura e cruda della periferia romana dell’immediato dopoguerra. Il Riccetto, Marcello, Alduccio, il Caciotta, il Bengalone, Il Piattoletta e Genesio sono solo alcuni dei protagonisti che, senza una solida famiglia alle spalle e senza istruzione vagabondano da una borgata all’altra, tra strade polverose e con i morsi della fame nello stomaco. Trascorrono le loro giornate nella malavita e nella criminalità destreggiandosi tra furti, gioco d’azzardo e giochi “sadici, con i loro primi approcci al sesso nel mondo della prostituzione e il loro unico svago nelle acque dei melmosi fiumi romani. Non c’è amicizia né amore, non ci sono affetti né empatia.
Senza una trama o un filo conduttore, si susseguono una serie di storie che raccontano il passaggio dei protagonisti dall’infanzia, “età eroica e amorale”, alla prima giovinezza, “età prosaica e immorale”. Emblematico il caso del Riccetto, bambino disposto a gettarsi nel Tevere per salvare una rondine, e adolescente che, invece, rimane inerte di fronte alla morte di un ragazzino trascinato dalla corrente del fiume Aniene. Impotente, rassegnato all’ineluttabilità del destino che sembrava spettare a quelli come loro.
Un libro di denuncia sociale, “nuovo” per l’epoca, che, pur con le possibili difficoltà dovute al largo utilizzo del dialetto romanesco, merita lo sforzo di chi vuole conoscere l’altro lato del bello.