Svegliarsi dopo un breve sonno postprandiale, con la fronte sudata e le labbra ancora imbevute di schiuma. Svegliarsi con la consapevolezza dei dettagli di un sogno appena vissuto, senza sapere come la storia si sia conclusa e chiedersi, con timore, dove sia la realtà. Ciascuno dei diciassette racconti di Di cosa parliamo quando parliamo d’amore rappresenta, in un minimalismo quasi estremizzato, un breve ma intenso viaggio nel subconscio. Non esistono illusioni lasciate al caso e il filo conduttore del “legame”, sia esso integro o reciso, racchiude la potenza delle relazioni umane e la fragilità dell’abbandono. Si può ammiccare per la sfrontatezza di una scelta o soffrire in silenzio; indignarsi per la banalizzazione della violenza e perfino compatire un traditore, poiché ciò che accade è intriso di quotidianità. Non si parla di sentimenti per trovare risposte dai contorni netti, si urlano o si celano parole solo per scovare domande nuove, solo per “pescare” nel fondo delle nostre inquietudini. La glassa verde sulla torta di compleanno, un bicchiere di gin rovesciato o un barattolo di vetro pieno di limacce non sono quindi solo dei particolari. Le immagini, più delle parole, appartengono alla storia narrata come i punti di sutura su una ferita e tracciano il percorso di ogni vissuto, restando nel tempo come cicatrici.